Modello di organizzazione e gestione e responsabilità amministrativa dell’ente: no rappresentanza per legale rappresentante indagato o imputato. Considerazioni in materia di SOAC, accise, dogana e compliance

Il modello di organizzazione e gestione richiesto dal decreto legislativo 231/2001 per essere efficiente deve escludere che il rappresentante legale se indagato o imputato del reato presupposto possa rappresentare l’”ente” (azienda); si tratta di un aspetto della responsabilità amministrativa dell’impresa recentemente ribadito dalla Corte di Cassazione, Sez. II penale con la sentenza n. 23910 del 7 maggio 2025.
Inoltre, le considerazioni indicate in tale pronuncia rappresentano degli importanti parametri per:
- la gestione della compliance ai fini dell’AEO;
- dei reati presupposto per la responsabilità amministrativa d’impresa in ambito doganale e delle accise;
- del SOAC quando entrerà in vigore.
In linea generale, l’articolo 39 del suddetto decreto sulla responsabilità amministrativa degli enti stabilisce al primo comma che: “ 1. L’ente partecipa al procedimento penale con il proprio rappresentante legale, salvo che questi sia imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo”.
In giurisprudenza si ricordano le Sezioni unite della Corte di Cassazione che con la sentenza n. 33041 del 28 maggio 2015, hanno affermato che: “la disposizione vieta esplicitamente al rappresentante legale, che sia indagato o imputato del reato presupposto, di rappresentare l’ente, proibizione che si giustifica perché il rappresentante legale e la persona giuridica si trovano in una situazione di obiettiva e insanabile conflittualità processuale, dal momento che la persona giuridica potrebbe avere interesse a dimostrare che il suo rappresentante ha agito nel suo esclusivo interesse o nell’interesse di terzi ovvero a provare che il reato è stato posto in essere attraverso una elusione fraudolenta dei modelli organizzativi adottati, in questo modo escludendo la propria responsabilità e facendola così ricadere sul solo rappresentante. Il divieto di rappresentanza stabilito dall’art. 39 è, dunque, assoluto e non ammette deroghe, in quanto funzionale ad assicurare la piena garanzia del diritto di difesa al soggetto collettivo; d’altra parte, tale diritto risulterebbe del tutto compromesso se l’ente partecipasse al procedimento attraverso la rappresentanza di un soggetto portatore di interessi confliggenti da un punto di vista sostanziale e processuale“.
Tale incompatibilità è presunta iuris et de iure e la sua sussistenza non deve essere accertata in concreto, con l’ulteriore conseguenza che non vi è alcun onere motivazionale sul punto da parte del giudice. Infatti, il divieto scatta in presenza della situazione contemplata dalla norma, cioè quando il rappresentante legale risulti essere imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo, sicché il giudice deve solo accertare che ricorra tale presupposto, senza che sia richiesta una verifica circa un’effettiva situazione di incompatibilità; come indicato in giurisprudenza (ex multis Corte di Cassazione Sez. II, n. 35387 del 13 maggio 2022), da ciò discende che il sistema della responsabilità amministrativa degli enti sia volto proprio a sollecitare le persone giuridiche all’adozione di modelli organizzativi al fine di prevenire i reati rispetto ai quali possa sorgere la loro responsabilità amministrativa, strutturando la propria organizzazione in modo da adeguare l’intervento nel caso in cui dalla propria attività possa conseguire un’indagine penale.
Pertanto, come già indicato modello organizzativo adeguato deve considerare l’ipotesi – ovviamente da scongiurare in forza della predisposizione delle altre regole cautelari autoprodotte nel modello stesso – in cui il legale rappresentante possa essere indagato per un reato presupposto all’illecito amministrativo ascritto a carico dell’ente, e si trovi quindi in una situazione di conflitto con gli interessi dell’ente, in maniera tale che l’ente possa provvedere tempestivamente a tutelare i propri diritti di difesa provvedendo alla nomina di un difensore da parte di un soggetto specificamente delegato a tale incombente per i casi di eventuale conflitto con le indagini penali a carico del rappresentante legale. In difetto, dovrebbe essere quanto meno esplicitato il meccanismo con cui si è proceduto alla individuazione di un soggetto che la richiesta indipendenza soggettiva rispetto al legale rappresentante sia in grado di garantire, non sussistendo altrimenti alcuno strumento, nelle mani dell’autorità giudiziaria procedente, per effettuare tale essenziale verifica.
L’adeguatezza del modello di organizzazione e gestione rappresenta un elemento di particolare rilevanza soprattutto in un’ottica di compliance integrata per la quale AEO, gestione della responsabilità amministrativa d’impresa e SOAC richiedono che l’operatore economico si sia strutturato internamente con processi efficienti, trasparenti, conosciuti, effettivi e aggiornati.
E’ interessante, a tal riguardo, ricordare la sentenza n. 1070 emessa dal Tribunale di Milano in 25 gennaio 2024 secondo cui è “facilmente intuibile che le norme sono tutto sommato povere di indicazione in ordine ai contenuti del modello di organizzazione, gestione e controllo del rischio del reato. Anche il riferimento ai Codici di comportamento ( o di linee guida) elaborati dalle associazioni di categoria e spesso evocati nei modelli adottati….sono per lo più documenti evocativi di valori e di principi generali di comportamento che non di autentiche cautele…” ed ancora partendo da questa ricognizione i giudici meneghini specificano che “…chi è collocato in posizione apicale assicurerà prima di tutto l’adozione di un modello organizzativo che consenta un’adeguata protezione dei beni giuridici tutelati dalle norme penali e, scendendo ai piani inferiori, la garanzia che si concretizzerà in rapporto al tipo di funzione in concreto esercitata….” E ancora “viene dunque in rilevo la necessità di predisporre all’interno della societas le risorse per forgiare i modelli di prevenzione del rischio-reato (i cc.dd compliance programs statunitensi) che costituiscono l’autentico supporto materiale del dovere organizzativo…”. I giudici milanesi poi descrivono come il modello di organizzazione gestione e controllo dovrebbe comporsi. Ci dovrebbe essere una parte generale del modello la quale oltre a descrivere la configurazione giuridica della società e i correlati organi di amministrazione e di controllo la quale segnala eventuali cambiamenti intercorsi. Dovrebbe contenere il codice etico che costituisce l’elenco dei valori cui la società si ispira; le linee guida dell’attività di informazione e di formazione (anche in ambito doganale e della disciplina delle accise) e i protocolli di prevenzione, le modalità di scoperta e gestione delle violazioni del modello, il sistema disciplinare, l’istruzione, composizione, funzionamento e gli obiettivi dell’organismo di vigilanza (OdV). La parte generale del modello deve contenere: un’introduzione capace di fornire i riferimenti normativi, linee guida elaborate da associazioni e eventuali codici deontologici cui l’attività aziendale si deve conformare; l’indicazione dei destinatari e le modalità d’informazione e formazione; i principi etici di riferimento; i principi comportamentali; le sanzioni disciplinari. Un modello per essere idoneo ed efficace, oltre ad individuare una puntuale configurazione degli assetti interni e dei relativi meccanismi di controlli endoaziendali, deve essere supportato e potenziato da un’intensa attività di formazione ed informazione sia attraverso iniziative volte alla divulgazione ed implementazione della comprensione delle procedure e delle regole comportamentali adottate. E’ necessario che ciò sia realizzato seguendo i criteri di continuità e intensità.
Un altro aspetto importante dell’efficacia del modello 231 è la predisposizione di un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nei protocolli operativi. Il sistema sanzionatorio deve prevedere i seguenti elementi essenziali: i soggetti destinatari, La parte generale del modello 231 deve prevedere la costituzione e il funzionamento dell’organismo di vigilanza. Si tratta di un organo incaricato di vigilare sull’osservanza e l’aggiornamento del modello; deve essere dotato di autonomia, potere effettivo di poter svolgere attività di sorveglianza e vigilanza; potere autonomo di controllo anche preventivo su una serie di aree aziendali; professionalità dei membri da intendersi come il possesso di specifiche competenze in tema di controllo contabile, direzionale e strategico dei membri che lo compongono; continuità d’azione nel senso di servizio costante nel tempo e nella interazione con gli organi amministrativi e di controllo della società; autonomia finanziaria.
In altre parole, l’organismo di vigilanza rappresenta uno strumento di controllo sull’effettività e adeguatezza del modello di prevenzione rischio-reato.
Per quanto riguarda la disciplina delle dogane e delle accise si svolgono di seguito alcune riflessioni. Il Decreto legislativo 26 settembre 2024, n. 141 recante “Disposizioni nazionali complementari al codice doganale dell’Unione e revisione del sistema sanzionatorio in materia di accise e altre imposte indirette sulla produzione e sui consumi” (riforma doganale 2024) prevede nel proprio articolo 4 “Modifiche al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231” le quali prevedono l’introduzione dei reati presupposto legati alle fattispecie di cui al decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 (testo unico accise). Successivamente, con la circolare 30/2024: la dogana fornisce i primi chiarimenti in materia di riforma doganale, delle accise e adeguamento del modello di organizzazione e gestione previsto dal Decreto legislativo 231/2001 oggetto di recenti riflessioni da parte di Confindustria.
Partendo da tale prospettiva, la Corte di Cassazione Sez V con sentenza n.19096 del 18 febbraio 2025 ha segnalato che anche riguardo le fattispecie previste dagli articoli 40 (Sottrazione all’accertamento o al pagamento dell’accisa sugli prodotti energetici) e 49 (Irregolarità nella circolazione) del decreto legislativo 26 ottobre 1995 , n. 504 (testo unico accise)è necessario tenere in considerazione le seguenti linee guida per la gestione di un MOG (modello di organizzazione e gestione) richiesto dal decreto legislativo 231/2001
Viene in primo luogo il “rapporto qualificato tra l’autore del reato presupposto e l’ente”. In merito al quale i giudici di Cassazione si sono espressi nel seguente modo: “l’art. 5, d.lgs. n. 231 del 2001, al fine della configurabilità della responsabilità amministrativa dell’ente, oltre al compimento del reato nell’interesse o a vantaggio dell’ente, richiede l’ulteriore elemento del rapporto qualificato tra l’autore del reato presupposto e l’ente. Il reato, invero, deve essere stato commesso da persone che «rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso» (art. 5, lett. a, d.lgs. n. 231 del 2001) oppure da persone «sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a» (art. 5, lett. b, d.lgs. n. 231 del 2001)”.
In altre parole, è necessaria la compresenza di: a) legame soggettivo tra reo ed ente; b) legame teleologico tra reato ed ente. Infatti, nella sentenza in parola è stato affermato che: “ Solo in presenza del legame soggettivo tra reo ed ente e quello teleologico tra reato ed ente è possibile configurare la responsabilità amministrativa dell’ente, in quanto solo in presenza di tali legami si può ritenere che l’ente risponda per un fatto proprio e non per un fatto altrui. La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la struttura dell’illecito addebitato all’ente risulta incentrata sul reato presupposto, rispetto al quale «la relazione funzionale sussistente tra reo ed ente e quella teleologica tra reato ed ente hanno la funzione di irrobustire il rapporto di immedesimazione organica, escludendo che possa essere attribuito alla persona morale un reato commesso sì da un soggetto incardinato nell’organizzazione ma per fini estranei agli scopi di questo». La sussistenza di tali relazioni «consente di affermare che l’ente risponde per un fatto proprio e non per un fatto altrui» (così, in motivazione, Sez. 4, n. 18413 del 15/02/2022, Cartotecnica Grafica Vicentina s.r.I., Rv. 283247; Sez. 4, n. 32899 del 08/01/2021, Castaldo)”.
Nell’ambito del legame soggettivo tra l’autore del reato presupposto e l’ente, assume un importante valore il ruolo apicale svolto dal reo. Infatti, “ Con specifico riferimento al legame soggettivo tra autore del reato presupposto ed ente, alla lettera a dell’art. 5, viene dato rilievo alle persone che rivestono un ruolo apicale nell’ambito dell’ente, comprese quelle che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo sull’ente. Come emerge dal chiaro dato letterale e come confermato dalla giurisprudenza di legittimità, possono venire in rilievo anche i reati commessi da soggetti che non rivestano incarichi formali, quando questi, di fatto, esercitano sull’ente poteri di gestione o di controllo sul medesimo (cfr., in motivazione, Sez. 5, n. 3211 del 20/10/2023, Castellarin, Rv. 285847). Alla lettera b dell’art. 5, viene, invece, dato rilievo anche al rapporto tra l’ente e i soggetti subordinati a quelli che rivestono un ruolo apicale”.
Allo scopo di evitare che il sistema di responsabilità previsto dal decreto legislativo 231/2001 generi la responsabilità oggettiva il decreto in parola ha previsto dei criteri di imputazione soggettiva della responsabilità degli enti “desumibili essenzialmente dagli artt. 6 e 7 del d.lgs. n. 231 del 2001 e 30 d.lgs. n. 81 del 2008. La giurisprudenza di legittimità, al riguardo, ha elaborato la nozione di “colpa di organizzazione” dell’ente, consistente, essenzialmente, nel non avere predisposto un insieme di accorgimenti preventivi idonei a evitare la commissione di reati del tipo di quello realizzato. La condotta dell’agente deve essere conseguenza non tanto di un atteggiamento soggettivo proprio della persona fisica quanto di un preciso assetto organizzativo “negligente” dell’impresa, da intendersi in senso normativo, perché fondato sul rimprovero derivante dall’inottemperanza da parte dell’ente dell’obbligo di adottare le cautele, organizzative e gestionali, necessarie a prevenire la commissione di uno dei reati previsti tra quelli idonei a fondare la responsabilità del soggetto collettivo (cfr. Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn). La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che «la mancata adozione e l’inefficace attuazione degli specifici modelli di organizzazione e di gestione prefigurati dal legislatore rispettivamente agli artt. 6 e 7 del decreto n. 231/2001 e all’art. 30 del d.lgs. n. 81/2008 non può assurgere ad elemento costitutivo della tipicità dell’illecito dell’ente ma integra una circostanza atta ex lege a dimostrare che sussiste la colpa di organizzazione, la quale va però specificamente provata dall’accusa» (così, in motivazione, Sez. 4, n. 18413 del 15/02/2022, Cartotecnica Grafica Vicentina s.r.I., Rv. 283247; Sez. 4, n. 32899 del 08/01/2021, Castaldo). Rimane, quindi, la rilevanza dei modelli di organizzazione e della disciplina prevista dagli artt. 6 e 7 d.lgs. n. 231 del 2001, che è diversamente articolata proprio sulla base del tipo di legame tra l’autore del reato e l’ente, atteso che l’art. 6 prevede una disciplina per i casi in cui i reati siano stati commessi da soggetti apicali e l’art. 7 ne prevede una differente per i casi in cui i reati siano stati commessi da soggetti subordinati a quelli che rivestono ruoli apicali”.
Infine, le considerazioni sopra riportate oltre ad essere utili per la gestione della compliance prevista dal decreto legislativo n.231/2001, AEO, potenzialmente, può offrire interessanti spunti di riflessione in materia di SOAC in attesa di una normazione più puntuale.
La qualifica di SOAC si basa sui seguenti cirteri:
Il procedimento amministrativo per riconoscimento della qualifica di soggetto obbligato accreditato si attiva su istanza di parte.
Una volta ricevuta l’istanza l’Agenza delle dogane e monopoli deve verificare, in via preliminare, il possesso, da parte del soggetto istante, dei requisiti di ammissione; se tutte le condizioni vengono rispettate dal soggetto richiedente il procedimento continua altrimenti, l’Amministrazione doganale deve rigettare l’istanza con provvedimento motivato adottato previo contraddittorio con l’interessato.
Nel caso di superamento del primo livello di verifica, l’Agenzia delle dogane e monopoli deve determinare l’affidabilità del soggetto istante attraverso la valutazione dei seguenti criteri con riferimento al ai cinque anni precedenti:
- professionalità, con riguardo a parametri di competenza tecnica e di qualità delle esperienze pregresse, anche nella conduzione di impianti di prodotti sottoposti ad accisa nonché al conseguimento di qualifiche professionali pertinenti all’attività svolta nel medesimo settore dell’accisa;
- l’organizzazione aziendale, con riguardo alle dimensioni strutturali e al volume d’affari, ai mezzi tecnici a disposizione per lo svolgimento ordinario e continuativo delle attività, alla struttura amministrativa e contabile in relazione ai flussi dei prodotti sottoposti ad accisa nonché all’adozione di un sistema di controllo e monitoraggio per la prevenzione dei reati previsti dal decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231;
- la solvibilità finanziaria, anche con riferimento all’analisi economico-finanziaria degli indicatori di bilancio e al riscontro del puntuale adempimento degli impegni assunti in relazione alla tipologia di attività commerciale;
- il monitoraggio e il controllo della filiera di approvvigionamento, sulla base delle operazioni realizzate con i soggetti fornitori e i cessionari intermedi e della loro solidità economica e solvibilità tributaria;
- la conformità alle prescrizioni fiscali, con riguardo all’assenza di violazioni gravi e ripetute in base alla loro natura, entità o frequenza e con riferimento alle dimensioni strutturali e al volume d’affari del soggetto istante, alle disposizioni che disciplinano l’accisa, l’imposta sul valore aggiunto e i tributi doganali, in relazione alle quali siano state contestate sanzioni amministrative.