Made in, fallace indicazione dell’origine e AEO
La gestione del made in (origine commerciale o non preferenziale) riveste un’importanza centrale per evitare: sanzioni amministrative, sanzioni penali e danni al proprio status di affidabilità ottenuto grazie all’AEO. La falsa e la fallace indicazione d’origine rappresentano problemi che richiedono la conoscenza delle norme nazionali, europee e internazionali ma anche costituiscono uno strumento per proteggere l’autenticità dei nostri prodotti e la fiducia dei consumatori.
Infatti, la III Sezione penale della Corte di Cassazione con la sentenza n.23850 del 21 giugno 2022 ha affermato che la stampigliatura della parola “Italy” anche senza “made in” su un prodotto realizzato all’estero può integrare la violazione dell’articolo 517 “Vendita di prodotti industriali con segni mendaci“del codice penale per cui: “…Chiunque pone in vendita o mette altrimenti in circolazione opere dell’ingegno o prodotti industriali, con nomi, marchi o segni distintivi nazionali o esteri, atti a indurre in inganno il compratore sull’origine, provenienza o qualità dell’opera o del prodotto, è punito, se il fatto non è preveduto come reato da altra disposizione di legge, con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a ventimila euro…”
La stessa sentenza offre i seguenti spunti interpretativi per gestire la propria compliance garantendo anche un’adeguata osservanza della normativa doganale ai fini AEO. Infatti, indica i casi cui avviene la violazione dell’articolo 517 del codice penale (fallace interpretazione dell’origine):
- mediante la stampigliatura “made in Italy” su prodotti e merci non originari dall’Italia ai sensi della normativa Europea sull’origine che integra la fattispecie di “falsa indicazione” dell’origine ed è punibile ai sensi dell’art. 517 c.p;
- mediante l’utilizzo di un’etichetta del tipo “100% made in italy“,”100% Italia“, “tutto italiano” o “full made in Italy“, per contrassegnare prodotti non interamente disegnati, progettati, lavorati e confezionati nel nostro Paese, costituendo la stessa un’ipotesi aggravata di “falsa indicazione” dell’origine, punibile, ai sensi del combinato disposto del D.L. n. 135 del 2009, art. 16, comma 4, e dell’art. 517 c.p., con le pene previste da quest’ultima disposizione, aumentate di un terzo, che rende questa previsione speciale rispetto alla precedente, di portata generale;
- mediante “l’uso di segni, figure e quant’altro” che induca il consumatore a ritenere, anche in presenza dell’indicazione dell’origine o provenienza estera della merce, che il prodotto sia di origine italiana, trattandosi esemplificativamente dei casi in cui sul prodotto sono apposti segni e figure tali da oscurare, fisicamente e simbolicamente, l’etichetta relativa all’origine, rendendola di fatto poco visibile e non individuabile all’esito di un esame sommario del prodotto, realizzandosi in questo caso la fattispecie di “fallace indicazione”, punibile ai sensi dell’art. 517 c.p;
- mediante l’uso ingannevole del marchio aziendale da parte dell’imprenditore titolare o licenziatario, in modo “da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto sia di origine italiana ai sensi della normativa Europea sull’origine“, a meno che i prodotti importati o esportati non siano accompagnati da indicazioni “evidenti” sull’esatta origine geografica o sulla loro provenienza estera.