Cumulo giuridico, proporzionalità della sanzione e compliance doganale: circolare 25/2023 agenzia delle dogane e monopoli
La circolare n.25 emessa dall’Agenzia delle dogane e monopoli in data 29 novembre 2023 con protocollo n.713699/RU su come si deve applicare e interpretare l’articolo 303 del TULD (testo unico legge doganale) in caso di “…quantificazione delle sanzioni irrogabili in caso di “dichiarazioni con più singoli”…”.
Tale atto di prassi nasce dalle seguenti esigenze: “…“Il principio generale del divieto di compensazione tra diverse dichiarazioni doganali (e in genere fiscali) sussiste anche con riguardo (non a una pluralità di dichiarazioni, ma) ai singoli fatti dichiarati all’interno di ciascuna di esse e, in particolare, a ciascun “singolo” di cui essa è composta” ed ancora “…Nell’attuazione delle indicazioni contenute nella citata nota di prassi è accaduto che, ancorché i diritti evasi fossero complessivamente pari a zero, sono state comunque irrogate sanzioni con riguardo a ciascun singolo contenuto nella dichiarazione cumulativa, ponendosi un simile operato in contrasto con il principio di proporzionalità delle sanzioni sancito dall’art. 42 del Reg. (UE) n. 952 del 2013 (Codice doganale dell’Unione)…”. In particolare, il divieto di compensazione di sanzioni si applicherebbe anche con riferimento ai singoli della medesima dichiarazione doganale, come previsto dalla nota prot. n. 16407/RU del 09 febbraio 2015 dell’allora Direzione Centrale Legislazione e Procedure Doganali, sebbene il medesimo testo avesse previsto l’applicazione dell’art. 12, comma primo del D.lgs. n. 472 del 1997 che, come noto, in caso di più violazioni con una sola azione od omissione, consente di applicare non tante sanzioni quanti sono gli illeciti contestati (cumulo materiale) bensì una sola sanzione, la più grave aumentata da un quarto al doppio (cumulo giuridico).
In primo luogo vale la pena condividere alcune considerazioni sull’articolo 303 TULD e il principio di proporzionalità.
Il principio di proporzionalità impone, una ponderazione degli interessi contrapposti insieme alla preferenza dello strumento minimo ed idoneo a conseguire il risultato richiesto dallo stesso ordinamento giuridico: in quest’ottica il furto di beni privi della posizione unionale immagazzinati in un deposito doganale deve prevedere un approccio sanzionatorio basato e modulato rispetto al principio di proporzionalità.
Nasce in ambito giurisprudenziale e si basa sulla considerazione che v’è una mancanza di armonizzazione unionale della disciplina delle sanzioni in materia di imposte sopperita dal potere delle autorità nazionali che però non possono esimersi dal tralignare rispetto ai principi unionali di riferimento per cui: “…il principio di proporzionalità si applica a provvedimenti nazionali che, come quelli controversi nelle cause principali, vengono adottati da uno Stato membro nell’esercizio della sua competenza in materia di [imposte sui consumi ndr], nei limiti in cui, qualora eccedessero quanto necessario per raggiungere il loro obiettivo, essi arrecherebbero pregiudizio ai principi del sistema comune [delle imposte dei consumi tra cui IVA e accise], e in particolare al regime delle deduzioni che ne costituisce un elemento essenziale…” ed ancora “…Spetta al giudice nazionale valutare il carattere proporzionato o no dei provvedimenti controversi e dell’applicazione che ne viene fatta dalla competente amministrazione.
Nell’ambito di una tale valutazione occorre disattendere le disposizioni nazionali o un’interpretazione di queste che ostino a un controllo giurisdizionale effettivo …nonché alla possibilità per il soggetto passivo di chiedere, sotto il controllo di un giudice, la sostituzione della trattenuta con un’altra garanzia sufficiente per tutelare gli interessi dell’erario ma meno coercitiva per il soggetto passivo, o che impediscano che possa disporsi, in tutte le fasi del procedimento, una revoca, totale o parziale, della trattenuta…”.
Il principio di proporzionalità risponde, pertanto, ad una logica di composizione di interessi contrapposti e si esplicita nella valutazione dell’adeguatezza della normativa domestica a raggiungere in modo equilibrato le finalità di tutela dell’interesse pubblico nel rispetto delle libertà fondamentali e dei diritti del singolo individuo, garantiti dalla CEDU.
Infatti, la giurisprudenza comunitaria ha riconosciuto un ruolo centrale al principio di proporzionalità nel settore tributario e doganale.
Il principio di proporzionalità, che assurge a rango di principio generale del diritto dell’Unione, costituisce il parametro per valutare la legittimità di qualsiasi atto delle istituzioni dell’Unione, ha più volte affermato il giudice comunitario.
In forza del principio di proporzionalità, la legittimità di un atto che impone obblighi o divieti, o lascia un margine di discrezionalità per derogarvi, è subordinata alla condizione che sia idoneo e necessario per il conseguimento degli obiettivi legittimamente perseguiti, fermo restando che, tra più soluzioni appropriate, va privilegiata quella meno restrittiva e che gli oneri imposti non siano sproporzionati rispetto agli obiettivi.
Partendo dall’indubbia origine unionale del principio di proporzionalità, non si possono omettere alcune considerazioni in merito al rapporto tra tale criterio ermeneutico e l’ordinamento costituzionale.
In primo luogo, il principio in parola pur non essendo previsto espressamente dalla Costituzione, viene indicato come introdotto dalla legge n. 241 del 1990 la quale, all’art. 1, dispone che “…l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficienza, di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle disposizioni che disciplinano i singoli procedimenti, nonché dall’ordinamento comunitario…” in linea con quanto affermato dalla giurisprudenza anche per l’ambito tributario.
E’ proprio il primo comma del predetto articolo a garantire l’entrata nel procedimento amministrativo del principio in scrutinio.
Partendo da tale provvedimento normativo che rappresenta il frutto di un importante dibattito, è interessante valutare come la giurisprudenza e la dottrina abbiano indagato sul suddetto criterio ermeneutico.
In particolare, secondo l’opinione che la Corte costituzionale ha manifestato in diverse occasioni, la discrezionalità dell’Amministrazione fiscale deve essere sottoposta al vaglio del principio di ragionevolezza del quale una sfumatura importante è sicuramente il parametro della proporzionalità; infatti, i suddetti giudici hanno rilevato che: “…In realtà, il giudizio di ragionevolezza, lungi dal comportare il ricorso a criteri di valutazione assoluti e astrattamente prefissati, si svolge attraverso ponderazioni relative alla proporzionalità dei mezzi prescelti dal legislatore nella sua insindacabile discrezionalità rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare o alle finalità che intende perseguire, tenuto conto delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti. Sicché, diversamente da quanto suppone la resistente, l’impossibilità di fissare in astratto un punto oltre il quale scelte di ordine quantitativo divengono manifestamente arbitrarie e, come tali, costituzionalmente illegittime, non può essere validamente assunta come elemento connotativo di un giudizio di merito, essendo un tratto che si riscontra, come s’è appena visto, anche nei giudizi di ragionevolezza…” riconducendo, in tal maniera, la tematica in oggetto al principio del buon andamento della pubblica amministrazione e a quello di ragionevolezza.
Sempre il medesimo Collegio ha, successivamente, affermato che “…la regola della ragionevole proporzionalità e della necessarietà della limitazione di un diritto inviolabile dell’uomo…” ed, pertanto “…Quella regola, infatti, impone che il legislatore, nel suo discrezionale bilanciamento dei valori costituzionali, possa restringere il contenuto di un diritto inviolabile dell’uomo soltanto nei limiti strettamente necessari alla protezione dell’interesse pubblico sottostante al dovere costituzionale contrapposto…”
Tale indirizzo trova conferma , nell’ambito della disciplina nazionale applicabile in via generale a tutte le sanzioni amministrative, nell’art. 7 del D.Lgs. n. 472/1997, il quale prevede che “Nella determinazione delle sanzioni si ha riguardo alla gravità delle violazioni” ed ancora nel quarto comma “…qualora concorrano circostanze che rendono manifesta la sproporzione tra l’entità del tributo cui la violazione si riferisce e la sanzione, questa può essere ridotta fino alla metà del minimo…”. Da ciò discende che il in tema di sanzioni doganali è inapplicabile il regime della continuazione di cui all’articolo 12, comma 5, del Decreto Legislativo n. 472/1997, che postula che le violazioni siano state commesse in periodi d’imposta diversi, nozione questa estranea alla materia doganale, senza che ad essa possa ritenersi equivalente il compimento delle singole operazioni d’importazione o esportazione. Infatti, nella materia doganale, ogni operazione è autonoma per cui l’istituto della continuazione, pur a fronte di violazioni della medesima indole, non risulta applicabile, tanto più come nel caso di specie in cui l’Amministrazione ha posto in essere i presupposti sui quali si fonda il legittimo affidamento del debitore.
Inoltre, il principio di proporzionalità, insieme a quelli di effettività e certezza della sanzione rappresenta una delle basi del sistema sanzionatorio tributario ed esige un’attenta ed effettiva valutazione delle concrete circostanze che hanno accompagnato e caratterizzato la commissione delle sanzioni. Tale criterio ermeneutico, in materia di agevolazioni, esenzioni, rimborsi ed esenzioni di accise ed imposte di consumo, deve assicurare, da un lato, la tutela dell’interesse erariale a tassare i prodotti energetici o equivalenti quando destinati alla combustione o carburazione, dall’altro, una continua ponderazione tra la ratio legis delle norme in parola con la concreta dialettica tra l’autorità fiscale e il contribuente.
Il principio di proporzionalità, vale la pena aggiungere, si coniuga con quello della effettività[1] il quale si sostanzia nel rapporto di corrispondenza intercorrente tra la norma di diritto dell’Unione intesa nella sua formulazione generale ed astratta, e il contenuto concreto del precetto normativo nella stessa rinvenibile; si tratta di un orientamento che già trova conferma in precedenti pronunce.
Il principio di effettività, infatti, implica il: “…prendere in considerazione «la totalità delle condizioni di fatto e di diritto, formali e sostanziali, che l’ordinamento giuridico nazionale richiede per l’esercizio delle azioni di ripetizione. Solo con questa visione globale, della quale dispongono unicamente i giudici [nazionali], si può dare una soluzione definitiva…”; in quest’ottica, anche il principio ora si cementa con quello della certezza del diritto all’interno delle obbligazioni tributarie sorte nello sviluppo dei dazi e delle accise.
In genere, il sistema delle sanzioni amministrative legale all’obbligazione doganale all’interno del quale si inserisce il modulo tributario del dazio si fonda essenzialmente sulle disposizioni del Decreto legislativo del 18 dicembre 1997 , n. 472 recante “ Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, a norma dell’articolo 3, comma 133, della legge 23 dicembre 1996, n. 662” e del decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973 , n. 43 avente ad oggetto “ Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale.
In particolare, il primo testo normativo fornisce, al proprio articolo 2, la definizione di sanzione amministrativa pecuniaria per cui “…Le sanzioni amministrative previste per la violazione di norme tributarie sono la sanzione pecuniaria, consistente nel pagamento di una somma di denaro, e le sanzioni accessorie…” descrivendone, successivamente, i criteri per la determinazione della sanzione.
Infatti, all’articolo 4, indica che è necessario valutare la gravità della violazione desunta anche dalla condotta dell’agente, l’opera da lui svolta per l’eliminazione o l’attenuazione delle conseguenze, nonché la sua personalità e alle condizioni economiche e sociali.
La personalità del trasgressore è desunta anche dai suoi precedenti fiscali.
È opportuno aggiungere che qualora concorrano circostanze che rendono manifesta la sproporzione tra l’entità del tributo cui la violazione si riferisce e la sanzione, questa può essere ridotta fino alla metà del minimo.
Parimenti, per le sanzioni amministrative ciascun operatore economico risponde della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa.
Insieme alla determinazione dei criteri per l’applicazione delle sanzioni amministrative il decreto legislativo 472/1997 all’articolo 6 indica le seguenti esimenti: la violazione è conseguenza del frutto di un errore sul fatto che non è determinato da colpa; la violazione scaturisce da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferiscono, nonché da una indeterminatezza delle richieste di informazioni o dei modelli per la dichiarazione e per il pagamento; il pagamento di un tributo non è stato effettuato a causa di una denuncia presentata all’autorità giudiziaria per fatto addebitabile esclusivamente a terzi; l’ignoranza inevitabile della legge tributaria; il fatto costituente illecito amministrativo è stato commesso per una causa di forza maggiore; la violazione non ha determinato alcun nocumento all’esercizio delle azioni di controllo e non ha inciso sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo.
Completa questo quadro generale il comma 4 dell’articolo 20 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, il quale introduce un’ulteriore esimente dall’applicazione delle sanzioni amministrative riferita al caso della revisione d’accertamento su istanza di parte, la quale deve pertanto ritenersi ancora in vigore.
Tale comma stabilisce che “Non si applicano sanzioni amministrative in tutti i casi in cui il dichiarante […] chiede spontaneamente la revisione dell’accertamento di cui all’articolo 11 del d.lgs. 8 novembre 1990, n. 374”. Il quadro generale della disciplina sanzionatoria necessita della menzione degli istituti del cumulo giuridico anche per le condotte che si presumono essere in continuazione e del ravvedimento operoso.
Il primo, regolato dall’articolo 12 del decreto legislativo 472/1997 prevede quanto segue: “…1. E’ punito con la sanzione che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave, aumentata da un quarto al doppio, chi, con una sola azione od omissione, viola diverse disposizioni anche relative a tributi diversi ovvero commette, anche con più azioni od omissioni, diverse violazioni formali della medesima disposizione.
- Alla stessa sanzione soggiace chi, anche in tempi diversi, commette più violazioni che, nella loro progressione, pregiudicano o tendono a pregiudicare la determinazione dell’imponibile ovvero la liquidazione anche periodica del tributo.
- Nei casi previsti dai commi 1 e 2, se le violazioni rilevano ai fini di più tributi, si considera quale sanzione base cui riferire l’aumento, quella più grave aumentata di un quinto.
- Le previsioni dei commi 1, 2 e 3 si applicano separatamente rispetto ai tributi erariali e ai tributi di ciascun altro ente impositore e, tra i tributi erariali, alle imposte doganali e alle imposte sulla produzione e sui consumi.
- Quando violazioni della stessa indole vengono commesse in periodi di imposta diversi, si applica la sanzione base aumentata dalla metà al triplo. Se l’ufficio non contesta tutte le violazioni o non irroga la sanzione contemporaneamente rispetto a tutte, quando in seguito vi provvede determina la sanzione complessiva tenendo conto delle violazioni oggetto del precedente provvedimento. Se più atti di irrogazione danno luogo a processi non riuniti o comunque introdotti avanti a giudici diversi, il giudice che prende cognizione dell’ultimo di essi ridetermina la sanzione complessiva tenendo conto delle violazioni risultanti dalle sentenze precedentemente emanate.
- Il concorso e la continuazione sono interrotti dalla constatazione della violazione.
- Nei casi previsti dal presente articolo la sanzione non può essere comunque superiore a quella risultante dal cumulo delle sanzioni previste per le singole violazioni.
- Nei casi di accertamento con adesione, di mediazione tributaria e di conciliazione giudiziale, in deroga ai commi 3 e 5, le disposizioni sulla determinazione di una sanzione unica in caso di progressione si applicano separatamente per ciascun tributo e per ciascun periodo d’imposta. La sanzione conseguente alla rinuncia, all’impugnazione dell’avviso di accertamento e alla definizione agevolata ai sensi degli articoli 16 e 17 del presente decreto non può stabilirsi in progressione con violazioni non indicate nell’atto di contestazione o di irrogazione delle sanzioni…”.
L’articolo 13 definisce l’istituto del ravvedimento operoso stabilendo che “…La sanzione e’ ridotta, sempreche’ la violazione non sia stata già constatata e comunque non siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento delle quali l’autore o i soggetti solidalmente obbligati, abbiano avuto formale conoscenza…”.
Orbene, in questo contesto di norme di natura generale, si inserisce l’articolo 303 del DPR del 23 gennaio 1973 , n. 43 il quale prevede le sanzioni legate sia agli elementi sintomatici dell’obbligazione doganale e cioè il valore, l’origine e la classificazione i quali indicano le qualità dei beni importati sia alla quantità di quest’ultimi.
La citata norma prevede, infatti, che “…1. Qualora le dichiarazioni relative alla qualità, alla quantità ed al valore delle merci destinate alla importazione definitiva, al deposito o alla spedizione ad altra dogana con bolletta di cauzione, non corrispondano all’accertamento, il dichiarante è punito con la sanzione amministrativa da euro 103 a euro 516 a meno che l’inesatta indicazione del valore non abbia comportato la rideterminazione dei diritti di confine nel qual caso si applicano le sanzioni indicate al seguente comma 3…” e specifica nel terzo comma che: “…3. Se i diritti di confine complessivamente dovuti secondo l’accertamento sono maggiori di quelli calcolati in base alla dichiarazione e la differenza dei diritti supera il cinque per cento, la sanzione amministrativa, qualora il fatto non costituisca più grave reato, è applicata come segue: a) per i diritti fino a 500 euro si applica la sanzione amministrativa da 103 a 500 euro; b) per i diritti da 500,1 a 1.000 euro, si applica la sanzione amministrativa da 1.000 a 5.000 euro; c) per i diritti da 1000,1 a 2.000 euro, si applica la sanzione amministrativa da 5.000 a 15.000 euro; d) per i diritti da 2.000,1 a 3.999,99 euro, si applica la sanzione amministrativa da 15.000 a 30.000 euro; e) per i diritti pari o superiori a 4.000 euro, si applica la sanzione amministrativa da 30.000 euro a dieci volte l’importo dei diritti.))…”.
Tale disposizione eccetto che nei casi indicati dal proprio articolo 2 presenta una struttura essenzialmente basata sul un sistema a scaglioni di tributi contestati e, pertanto, è stata considerata incompatibile con il principio della proporzionalità.
Costituisce una disposizione basata su impianto rigido che invece necessiterebbe di una maggiore flessibilità interpretativa e si intreccia con l’applicazione del cumulo giuridico. Il principio di proporzionalità rappresenta il criterio di maggiore centralità anche nei casi in cui vengono applicate le misure di sicurezza patrimoniali.
Dal punto di vista operativo, dunque, l’operatore economico deve considerare i seguenti aspetti:
- se il valore complessivo dei dazi evasi con riguardo a tutti i singoli che compongono la dichiarazione doganale superi o meno il 5% dei dazi dichiarati (profilo genetico). Tale operazione, va effettuata con riguardo all’insieme dei singoli articoli che compongono la dichiarazione doganale e non già rispetto a ciascun singolo (valutazione complessiva);
- Una volta effettuata tale verifica, se il valore complessivamente accertato risulta inferiore al 5% rispetto a quello originariamente dichiarato, si applica la sanzione prevista dall’art. 303, comma 1 del T.U.L.D.; qualora, invece, il valore complessivo accertato risulti essere superiore al 5% rispetto a quanto originariamente dichiarato, si applica la sanzione come indicata al comma 3 del medesimo articolo 303;
- Il cumulo giuridico rappresenta una facoltà e non un obbligo dell’operatore economico.
Invece, per quanto riguarda la sistematizzazione della circolare 25/2023 dell’Agenzia delle dogane e monopoli si osserva quanto segue.
In primo luogo, vale la pena considerare che la legge sulla delega fiscale, approvata il 4 agosto 2023 prevede che il Governo adotti entro 24 mesi, uno o più decreti legislativi recanti la revisione del sistema tributario nel e doganale rispetto dei principi costituzionali, nonché del diritto dell’Unione europea e internazionale; l’8 agosto 2023 è stato istituito il comitato tecnico e i sottocomitati specifici per settori e imposte.
In ambito doganale, rivestirà un ruolo importante il nuovo inquadramento delle sanzioni amministrative doganali che dovranno essere sempre più basate sul principio di proporzionalità per cui l’articolo 42 del regolamento 2013/952 prevede che: “Ciascuno Stato membro prevede sanzioni applicabili in caso di violazione della normativa doganale. Tali sanzioni devono essere effettive, proporzionate e dissuasive” e il comma 4 dell’articolo 7 del decreto legislativo 472/1997 il quale dispone quanto segue “…4. Qualora concorrano circostanze che rendono manifesta la sproporzione tra l’entita’ del tributo cui la violazione si riferisce e la sanzione, questa puo’ essere ridotta fino alla meta’ del minimo…”; in realtà sia la prima norma sia la seconda forniscono informazioni generiche senza, quindi, indicare quale sono le circostanze capaci di giustificare un intervento modificativo.
Tale comma deve essere letto in relazione ai primi due della medesima norma per cui nella determinazione quantitativa della sanzione è necessario considerare: a) la gravità della violazione; b) la condotta dell’agente, c) l’opera da lui svolta per l’attenuazione o l’eliminazione delle conseguenze; d) la personalità del trasgressore e alle sue condizioni economiche sociali.
Infatti, la circolare 22/D del 28 dicembre 2015 dell’Agenzia delle Dogane per cui “…In relazione alla determinazione della sanzione amministrativa si ritiene opportuno richiamare il disposto di cui all’articolo 7 del D. Lgs n.472/1997, come modificato per effetto di quanto previsto dall’art.16, comma 1, lettera c), del D.Lgs n.158/2015. Nella determinazione quantitativa della sanzione dovrà, quindi, aversi riguardo alla gravità della violazione desunta, sia dall’ammontare del tributo la cui riscossione è impedita o messa in pericolo, sia alle caratteristiche della condotta, dolosa o più o meno gravemente colposa, tenuta dal trasgressore, nonché al comportamento successivamente adottato dallo stesso per eliminare od attenuare le conseguenze antigiuridiche. Dovrà, altresì, tenersi conto anche della personalità dell’autore della violazione, desunta anche dai suoi precedenti fiscali, e delle sue condizioni economiche e sociali…”. In particolare, la “personalità dell’autore della violazione” coincide con l’aspetto soggettivo dell’obbligazione doganale e cioè con l’operatore economico il quale attraverso l’AEO diviene un soggetto affidabile. Infatti, la natura giuridica dell’AEO è quella appunto di certificare e misurare l’affidabilità del titolare.
In quest’ottica, sarebbe molto interessante che l’AEO, supportato dell’evidenza di monitoraggio periodici interni, possa assurgere con la “riforma Leo” a condizione generale soggettiva per l’applicazione del principio di proporzionalità.
Dal punto di vista pratico, l’AEO e la valutazione anche ex post della condotta dell’operatore economico dovrebbero essere presi in considerazione dall’autorità doganale per applicare già in fase amministrativa una sanzione ridotta o addirittura non applicarla per irrilevanza della condotta.
Per tale ragione, probabilmente, sarebbe interessante inserire nel TULD la definizione della natura giuridica dell’AEO e la modifica dell’articolo 303 TULD la quale, de facto, si sostanzia in un mero elenco di scaglioni in relazione ai quali si applica la sanzione.
[1] F. Amatucci, F., I vincoli posti dalla giurisprudenza comunitaria nei confronti della disciplina nazionale del rimborso d’imposta, in Riv. dir. trib., 2000, I, 291