Violazioni sul made in: no sanzione se c’è buona fede e processi aziendali strutturati. Il ruolo della compliance

La Cassazione (con ordinanza n.28041 emessa dalla Sezione II civile,il 22 ottobre 2025) ha affermato che quando l’importatore prova la propria buona fede e un’adeguata diligenza non deve essere sanzionato ai fini della normativa su made in (origine non preferenziale). Nel presente intervento si parte dalla tutela del consumatore in merito all’indicazione dell’origine del bene e la gestione aziendale dell’origine non preferenziale.
In primo luogo, in giurisprudenza è stato elaborato il principio di diritto in virtù del quale : “ in tema di tutela penale dei prodotti dell’industria e del commercio, integra l’illecito amministrativo previsto dall’art. 4, comma 49-bis, della legge n.350 del 2003 – e non il reato di cui all’art. 517 cod. pen. -l’importazione dall’estero di prodotti recanti un’etichetta raffigurante un marchio (…) idoneo, in assenza di precise indicazioni sulla esatta provenienza o della dichiarazione di impegno a rendere tali informazioni in fase di commercializzazione, a trarre in inganno anche un consumatore esperto sull’effettiva origine del prodotto (Cass. pen., Sez. III, Sentenza, 06/11/2014, n. 52029)”; in particolare., la fattispecie sanzionata a livello amministrativo è costituita dalla possibile induzione in errore del consumatore circa la provenienza della merce quando l’utilizzo del marchio è fatto con modalità tali da indurre appunto il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana anche per l’assenza di precise indicazioni sulla esatta provenienza o della dichiarazione di impegno a rendere tali informazioni in fase di commercializzazione. Si tratta quindi dell’illecito amministrativo previsto dall’art. 4, comma 49-bis,della l. n. 350 del 2003 e commentato dalla circolare del 9 novembre 2009, n. 124898 del MISE.
Una volta compreso che l’errata indicazione del made in costituisce un illecito amministrativo, qualora l’operatore economico evidenzi come abbia richiesto, senza successo, al proprio fornitore una specifica indicazione del “made in” in caso dimostri che ha agito in buona fede e con la massima diligenza (richiesta in anticipo del made in e archiviazione dei documenti) è meritevole dell’annullamento della sanzione amministrativa. D’altronde in virtù della circolare sopra indicata può inserire la corretta indicazione prima dell’immissione in consumo delle merci.
Alla luce della rilevanza che il made in gioca per la compliance dell’operatore economico, è auspicabile che tale tematica venga regolata in modo chiaro a livello contrattuale con la controparte. Ciò non toglie, che sia onere dell’operatore economico promuovere internamente processi di continuo monitoraggio e tracciatura dei dati e documenti su cui l’origine non preferenziale/made in vengono calcolati.
Si ricorda che il made in ha un impatto forte sull’AEO. In particolare, già in fase di questionario di autovalutazione vi sono il quesito nel quesito 1.3.2 per cui: “…a) Fornire una panoramica sull’origine preferenziale o non preferenziale delle merci importate. b) Quali misure interne sono state attuate per verificare che il paese d’origine delle merci importate sia stato dichiarato correttamente? c) Descrivere il metodo utilizzato per il rilascio della prova delle preferenze e dei certificati d’origine per l’esportazione…” e il n. “1.3.5 del QAV “…Commercializzate prodotti soggetti a dazi antidumping o a dazi compensativi? Sì/No. Se sì, fornire informazioni sul o sui fabbricanti o sui paesi al di fuori dell’UE le cui merci sono soggette ai dazi di cui sopra…”.
Infine, sulla scorta delle linee guida unionali[1] è importante che l’importatore sia in grado di provare l’origine non preferenziale, sebbene non vi sia una modalità specifica e qualora costui sia privo di certificati provenienti dall’estero è opportuno che possa rispondere ai quesiti indicati nell’allegato delle linee guide unionali in materia di origine non preferenziale che si seguito si riproducono integralmente:
“…Reference to the customs declaration for free circulation:
Identification of the declarant:
Information relating to the origin of the goods:
- Description of the product:
- Tariff classification (minimum 6 digits):
- Ex-works price:
- Origin:
How did you make the assessment of the declared origin of the product?
Which of the provisions in the Union Customs Code Regulation (EU) 952/2013, and
Commission Delegated Regulation (EU) 2015/2446 have been applied?
Please provide the following information relating to the origin determination:
- Detailed description of the production process:
- Has this product been manufactured entirely from materials that were wholly obtained in the country of production?
- If not, please provide the following elements:
- Where the origin determination is based on a change in tariff classification, for each of the materials or components:
– the sub-heading in which they are classified (6 digits)
– the origin
- Where the origin determination is based on a value-added rule, the value of the most important components not originating in the country of manufacture, allowing for the verification that the rule has been fulfilled.
- Where origin is determined by any other method (such as a specific processing operation or a residual rule), detailed information (as appropriate: weight, value of materials, etc.) allowing for the verification that the rule has been fulfilled.
Please note that evidence relating to these elements may be required at a later stage, including
copies of import declarations, invoices etc.
Where the information above should be kept confidential, this document may be sent back directly to the customs office responsible for the verification of the declared origin at the following address…”.
[1] Guidance on non preferential origin Taxud marzo 2022.