L’onere della prova in materia di accise grava sull’Amministrazione doganale
L’applicazione dell’articolo 61 comma 1 lettera b) del testo unico delle accise (TUA decreto legislativo 504 del 1995) , secondo la Corte di Cassazione Sez V del 27 luglio 2025 n. 21543, necessita della prova da parte dell’Amministrazione fiscale, che al responsabile del deposito fiscale sia effettivamente ed inequivocabilmente riconducibile l’immissione in consumo di prodotti contestati.
Neanche il riferimento ad un verbale precedentemente emesso può rappresentare un’evidenza sufficiente se è sprovvisto di un’adeguata contestualizzazione con le ragioni della sanzione; non bastano, secondo gli Ermellini, presunzioni e deduzioni per attribuire responsabilità erariale e penale in materia di accise.
L’articolo 61 comma 1 lettera b) del TUA recita come segue: “1. Le imposizioni indirette sulla produzione e sui consumi diverse da quelle previste dai titoli I e II e dall’imposta di fabbricazione sui fiammiferi, si applicano con le seguenti modalità: […] b) obbligato al pagamento dell’imposta è:
1) il fabbricante per i prodotti ottenuti nel territorio dello Stato;
2) il soggetto che effettua la prima immissione in consumo per i prodotti di provenienza comunitaria;
3) l’importatore per i prodotti di provenienza da Paesi terzi”
L’ordinanza in commento è interessante per gli operatori economici giacchè conferma l’indirizzo della Corte di Cassazione in virtù del quale l’Agenzia delle dogane ha l’onere di provare sia l’elemento oggettivo e cioè il fatto che ha o avrebbe potuto generare un debito d’imposta sia l’elemento soggettivo, costituito dalla volontarietà e diligenza del soggetto agente. Al riguardo si ricorda C.Lombardozzi “Anche in materia di accise valgono le regole probatorie previste per l’IVA”. in Fiscalità dell’energia che così rileva: “…Sul punto, la consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione è invero chiara nell’affermare che la violazione del citato art. 2697 cod. civ. sussiste nella sola ipotesi in cui l’onere della prova sia stato addossato ad una parte diversa rispetto a quella su cui ricade, “cioè attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni” [8]. All’opposto, detta violazione non ricorre laddove “oggetto della censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti”…”.