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Compatibilità diritto nazionale con quello UE: l’incentivazione dell’energia elettrica da fonti rinnovabili

Il Consiglio di Stato con l’ordinanza n.926 emessa dalla seconda sezione in data  30 gennaio 2024, n. 926 ha rinviato al giudizio della Corte di Giustizia dell’Unione europea il vaglio di legittimità dell’articolo l’art. 7, comma 7, del decreto del Ministero dello sviluppo economico del 4 luglio 2019 (Incentivazione dell’energia elettrica prodotta dagli impianti eolici on shore, solari fotovoltaici, idroelettrici e a gas residuati dei processi di depurazione), il quale stabilisce che per gli impianti di potenza pari o superiore a 250 kW «il GSE calcola la componente incentivo come differenza tra la tariffa spettante e il prezzo zonale orario di mercato dell’energia elettrica e, ove tale differenza sia positiva, eroga gli importi dovuti in riferimento alla produzione netta immessa in rete secondo le modalità individuate all’art. 25 del decreto 23 giugno 2016. Nel caso in cui la predetta differenza risulti negativa, il GSE conguaglia o provvede a richiedere al soggetto responsabile la restituzione o corresponsione dei relativi importi. In tutti i casi, l’energia prodotta da questi impianti resta nella disponibilità del produttore» rispetto alle direttive n. 2009/28/CE e n. 2018/2001/UE.

In particolare, i giudici unionali dovranno rispondere al seguente quesito: “…se i principi recati dall’art. 3 della direttiva 2001/28/CE e dall’art. 4 della direttiva 2018/2001/UE ostano o non ostano a una normativa interna, quale l’art. 7, comma 7, del decreto del Ministero dello sviluppo economico del 4 luglio 2019, che, nell’ambito di un regime nazionale di sostegno alla produzione di energia da fonti rinnovabili, preveda, con riferimento a fattispecie in cui i produttori vendono l’energia sul libero mercato, un meccanismo incentivante (c.d. “a due vie”) in forza del quale, rispetto ai soli impianti di nuova costruzione di potenza pari o superiore a 250 kW, l’incentivo è calcolato come differenza tra la tariffa spettante all’impresa (determinata tenendo conto, da un lato, delle tariffe di riferimento previste per ciascuna tipologia d’impianto e d’intervento, dalla normativa applicabile e, dall’altro, delle riduzioni offerte al ribasso dall’operatore nell’ambito delle procedure di asta o registro, nonché delle ulteriori decurtazioni previste in via generale dalla normativa interna) e il prezzo zonale orario, con conseguente obbligo di riversare le somme eccedenti il valore della tariffa spettante quando il prezzo zonale orario sia a essa superiore (c.d. “incentivo negativo”)…”.

In primo luogo, il meccanismo incentivante la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili dovrebbe agevolare la promozione della prodizione di energia verde, favorendo l’investimento nella realizzazione di nuovi impianti o nel potenziamento di quelli esistenti, mediante un contributo pubblico a sostegno dei relativi costi (i quali vengono così posti parzialmente a carico della collettività in ragione delle esternalità positive che si ricollegano alla transizione ecologica). Invece, l’ “incentivo negativo” configurato dall’art. 7, co. 7, del decreto ministeriale del 4 luglio 2019 comporta che, nel caso in cui il prezzo zonale orario dell’energia aumenti, le imprese, pur avendo effettuato degli investimenti, non ottengono alcuna sovvenzione che ne riduca il costo, anzi debbano riversare al GSE parte degli introiti derivati dalla vendita sul mercato dell’energia prodotta, con la conseguenza che queste potrebbero essere indotte ad abbandonare l’incentivo, così compromettendo il raggiungimento dei risultati perseguiti dalle direttive.

L’ incentivo negativo non può considerarsi una contropartita della garanzia di una tariffa costante, considerato che l’impresa vende l’energia sul mercato, soggiace alle sue dinamiche ed è esposta ai relativi rischi.  Pertanto, l’obbligo di versare la differenza tra il prezzo zonale orario e la tariffa spettante al singolo operatore potrebbe pregiudicarne la capacità di reazione alle dinamiche del mercato: per questo,  i giudici di Palazzo Spada dubitano vi sia un contrasto con il criterio, posto dalle direttive, di configurare i regimi di sostegno in modo da rispondere ai segnali di mercato, evitando inutili distorsioni.

Infine, viene la considerazione che la “tariffa a due vie” , è imposta quale unico meccanismo incentivante per tutti gli impianti di potenza pari o superiore a 250 kW, mentre i titolari di impianti di potenza inferiore possono optare per il diverso regime che prevede il ritiro dell’energia da parte del GSE con corresponsione della tariffa spettante a loro favore: da questo deriva il dubbio sulla compatibilità con la prescrizione, posta dalle direttive, di configurare regimi di sostegno non discriminatori.