L’Iva non dovuta per operazioni doganali con la Turchia: conclusioni della Cassazione
La Corte di Cassazione Sez III n. 25823 del 21 marzo 2025 ha affermato che l’IVA non dovrebbe essere riscossa per beni originari della Turchia e immessi in libera pratica e consumo.
Secondo la sentenza in commento:
- l’ingresso materiale nel territorio comunitario del bene immesso in libera pratica in Turchia non può essere considerato un’importazione ai sensi dell’art. 67 d.P.R. n. 633 del 1972 perché, come detto, pur non essendo Stato membro dell’Unione Europea, la Turchia è parte integrante dell’Unione doganale, sicché, una volta immesso in libera pratica in Turchia, il bene acquista la posizione doganale di merce comunitaria, in libera circolazione in tutto il mercato interno;
- l’immissione in consumo del bene nel territorio dell’Unione Europea costituisce fatto eventuale ma necessariamente successivo alla sua immissione in libera pratica nel territorio turco.
Partendo da tali presupposti, il bene regolarmente immesso in libera pratica in Turchia e Accompagnato dal certificato di circolazione A.TR non è soggetto a ulteriori diritti di confine, né in Italia, né nei paesi dell’Unione e, dunque, né a dazi, né all’imposta sul valore aggiunto all’importazione. Questo non vuol dire che il bene sia sottratto all’IVA (interna) conseguente all’importazione ma certo è, che nel caso del bene regolarmente immesso in libera pratica in Turchia, la scissione temporale con l’immissione in consumo costituisce evenienza peculiare e tuttavia fisiologica (non potendo, come detto, la Turchia esigere il pagamento dell’IVA all’importazione) con conseguente impossibilità di qualificare l’IVA come “diritto di confine” e di applicare l’art. 70 d.P.R. n. 633 del 1972.
CONTESTO NORMATIVO: UNIONE DOGANALE UE-TURCHIA
l’Accordo istitutivo di un’Associazione tra la Comunità Economica Europea e la Turchia con Protocolli e Atto finale, firmati in Ankara il 12 settembre 1963 (cd. «Accordo di Ankara», ratificato in Italia dalla legge n. 959 del 1964), è stata istituita una Associazione tra la Comunità Economica Europea e la Turchia (art. 1) finalizzata alla progressiva istituzione di una unione doganale tra la Turchia e la Comunità scandita da una fase preparatoria, una fase transitoria ed una fase definitiva (art. 2, par. 3). La fase preparatoria non avrebbe dovuto durare più di cinque anni (art. 3, par. 2), quella transitoria più di dodici (art. 4, par. 2). La fase definitiva è basata sull’unione doganale (art. 5). Ai sensi dell’art. 10, par. 2, dell’Accordo, «[l]’unione doganale comporta: il divieto, tra gli Stati membri della Comunità e la Turchia sia all’importazione che all’esportazione, dei dazi doganali
e delle tasse di effetto equivalente, delle restrizioni quantitative, nonché di qualsiasi altra misura di effetto equivalente intesa ad assicurare alla produzione nazionale una protezione contraria agli obiettivi dell’Accordo; nelle relazioni tra la Turchia ed i Paesi terzi, la adozione della tariffa doganale comune della Comunità, nonché un riavvicinamento alle altre regolamentazioni applicate dalla Comunità in materia di commercio estero».
In particolare, al fine di raggiungere gli obiettivi fissati dall’Accordo fu istituito un Consiglio di associazione (artt. 6 e 22 dell’Accordo) composto, da un lato, da membri dei Governi degli Stati membri, del Consiglio e della Commissione della Comunità, e, dall’altro, da membri del Governo turco (art. 23). Il Consiglio ha il compito di prendere le decisioni del caso, quando si riveli necessaria un’azione comune delle parti contraenti per conseguire, nell’attuazione del regime di Associazione, uno degli obiettivi dell’Accordo (art. 22), dirime le controversie tra le parti contraenti relative all’applicazione o all’interpretazione dell’Accordo e concernente la Comunità, uno Stato della Comunità o la Turchia così come può ugualmente decidere di sottoporre la controversia alla Corte di giustizia delle Comunità Europee o ad ogni altro organo giurisdizionale esistente (art. 25). Il Consiglio può costituire qualunque comitato qualificato ad assisterlo nell’adempimento dei suoi compiti e in particolare un comitato che assicuri la continuità di cooperazione necessaria al buon funzionamento dell’Accordo (art. 24).
Con decisione n. 2/69 del 15 dicembre 1969, il Consiglio aveva istituito il Comitato di cooperazione doganale; successivamente, il 22 dicembre 1995 il Consiglio di associazione ha adottato la decisione 1/95 il cui art. 3, comma 3, stabilisce che «il territorio doganale dell’unione doganale è costituito dal territorio doganale della Comunità, quale definito all’articolo 3 del regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992, che istituisce un codice doganale comunitario; – dal territorio doganale della Turchia». Il secondo comma precisa che «[s]ono considerate in libera pratica nella Comunità o in Turchia le merci provenienti da paesi terzi per le quali sono state espletate le formalità di importazione e sono stati pagati i dazi doganali o gli oneri di effetto equivalente esigibili nella Comunità o in Turchia e che non hanno beneficiato di una restituzione totale o parziale di tali dazi o oneri». In applicazione dell’art. 4 della decisione, in coerente conseguenza della costituzione dell’unione doganale, i dazi doganali all’importazione o all’esportazione e gli oneri di effetto equivalente sono stati totalmente aboliti fra la Comunità e la Turchia dalla data di entrata in vigore della decisione stessa. Di conseguenza, la Comunità Economica Europea e la Turchia si sarebbero astenute dall’introdurre nuovi dazi doganali all’importazione e all’esportazione oppure oneri di effetto equivalente. L’art. 4 precisa che «[t]ali disposizioni si applicano anche ai dazi doganali di natura fiscale». Ai sensi dell’art. 1, lett. b), dell’Allegato 7 della decisione, per «dazi doganali» s’intendono tutti i dazi, le imposte, i diritti o gli altri oneri riscossi nei territori delle parti contraenti in applicazione della legislazione doganale, esclusi i diritti e gli oneri il cui importo è limitato al costo approssimativo dei servizi resi.
In attuazione della decisione n. 1/95, il Comitato di cooperazione doganale ha adottato la decisione n. 1/2006 del 26 settembre 2006 il cui art. 5, per quanto qui rileva, stabilisce che «(…) la prova che sono soddisfatti i criteri per l’applicazione delle disposizioni sulla libera pratica contenute nella decisione di base è fornita su presentazione di un titolo giustificativo rilasciato a richiesta
dell’esportatore dalle autorità doganali della Turchia o di uno Stato membro». Il titolo giustificativo di cui all’articolo 5 è costituito dal certificato di circolazione A.TR che può essere utilizzato unicamente quando le merci sono trasportate direttamente tra le due parti dell’unione doganale (art. 6). Inoltre, il testo dell’art. 4 della decisione 1/95, supportato dal’articolo 1 lett.b) dell’allegato 7, nella parte in cui stabilisce l’applicazione della decisione stessa sottolinea che si fa riferimento ai «dazi doganali di natura fiscale».
CONTESTO NORMATIVO: NATURA IVA IMPORTAZIONE
La Corte di Cassazione Sez III n. 25823 del 21 marzo 2025, diversamente da quanto affermato dopo dalla Corte Costituzionale, ha affermato che l’imposta sul valore aggiunto all’importazione è, dunque, un “diritto di confine” come individuato dall’articolo 27, comma 2, d.lgs. 26 settembre 2024, n. 141, che l’ha espressamente previsto e, pur essendo estranea all’obbligazione doganale, dev’essere corrisposta in occasione delle operazioni doganali.