accise e imposte di consumo,  energie rinnovabili

Crisi climatica, energie rinnovabili e mercato europeo dell’energia elettrica: considerazioni su accise e fiscalità ambientale

Il quadro legislativo europeo della generazione e vendita di energia elettrica da fonti rinnovabili ammette una normativa nazione che:

  1. Preveda la tassazione di redditi legati dalla vendita di energia elettrica da fonti rinnovabili al sopra di un determinato prezzo fissato ex lege;
  2. Esenti da tale tassazione la vendita di energia elettrica da fonti fossili.

La direttiva (UE) 2019/944 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 giugno 2019, relativa a norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica e che modifica la direttiva 2012/27/U rappresenta il fulcro della suddetta disciplina. Tale norma unionale, secondo la Corte di Giustizia dell’UE  Sez. IX 16 ottobre 2025, in causa C-391/23:

  1. Fornisce  norme comuni per la generazione, la trasmissione, la distribuzione, lo stoccaggio e la fornitura dell’energia elettrica, unitamente a disposizioni in materia di protezione dei consumatori, al fine di creare nell’Unione mercati dell’energia elettrica effettivamente integrati, competitivi, incentrati sui consumatori, flessibili, equi e trasparenti. E’ volta ad assicurare ai consumatori energia a prezzi e costi accessibili e trasparenti.
  2. Prima della direttiva 2019/944, il quadro normativo, non impediva: 1) la tassazione dell’utile per la vendita al di sopra di un determinato valore perchè questa politica fiscale ha obiettivi di bilancio e non costituisce uno strumento di riduzione della concorrenza e discriminazione degli operatori economici; 2) una normativa nazionale che istituiva un’imposta gravante sulla produzione e sull’immissione di energia elettrica nel sistema elettrico nel territorio di tale Stato (v., in tal senso, sentenza del 3 marzo 2021, Promociones Oliva Park, C-220/19, EU:C:2021:163, punto 78 ).

L’articolo 191, paragrafo 2, TFUE (Trattato funzionamento dell’Unione europea), prevede che la politica dell’Unione in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo, però, conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni dell’Unione. Tale politica, in particolare, è fondata sui principi della precauzione e dell’azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché sul principio «chi inquina paga»; in particolare quest’ultimo principio è rivolto al legislatore dell’Unione e di conseguenza, non può essere invocato in quanto tale dai privati (v., in tal senso, sentenze del 4 marzo 2015, Fipa Group e a., C-534/13, EU:C:2015:140, punti 39 e 40, nonché del 13 luglio 2017, Túrkevei Tejtermelő Kft., C-129/16, EU:C:2017:547, punti 36 e 37).

Invece, per quanto riguarda gli obiettivi della neutralità climatica che l’Unione si è prefissata  gli Stati membri sono tenuti ad adottare le misure necessarie a livello nazionale. Al riguardo,la Corte di Giustizia dell’UE  Sez. IX nella sentenza emanata in data 16 ottobre 2025 per la causa C-391/23  ha rilevato che “65 Risulta quindi tanto dal tenore letterale delle disposizioni del regolamento 2021/1119, in particolare dai suoi articoli 2, 5 e 7, quanto dall’obiettivo della neutralità climatica da esso perseguito che detto regolamento si limita ad obbligare gli Stati membri a stabilire una strategia globale al fine di conseguire tale obiettivo. 66 Infatti, come sottolineato dalla Commissione nelle sue osservazioni scritte, una misura concreta adottata da uno Stato membro deve essere valutata, a tal fine, alla luce di tutte le circostanze della situazione in cui essa si inserisce e di tutte le misure adottate dallo Stato membro interessato al fine di contribuire al conseguimento dell’obiettivo della neutralità climatica a livello dell’Unione” e ha concluso quanto segue: “Orbene, una normativa come quella di cui trattasi nel procedimento principale non  risulta tale da avere di per sé un’influenza determinante sul conseguimento di un siffatto obiettivo o da produrre l’effetto che lo Stato membro che l’ha adottata venga meno all’obbligo di adottare le misure necessarie per consentire il conseguimento di tale obiettivo comune, tenuto conto, in particolare, del fatto che l’applicazione di tale normativa è limitata nel tempo e non sembra poter incidere in modo significativo sull’emissione di gas a effetto serra”.

La sentenza della Sez IX della Corte di Giustizia dell’UE pronunciata in data 16 ottobre 2025, nella causa C-391/23 offre interessanti spunti di riflessione sul ruolo del legislatore nazionale in materia di sostenibilità, lotta alla crisi climatica e sulle sue competenze normative nell’ambito delle accise e della fiscalità ambientale.