compliance e AEO

AEO e tutela del made in

 

L’osservanza della legislazione doganale richiesta per l’ottenimento e il mantenimento dell’AEO si misura anche rispetto delle norme relative all’origine non preferenziale o commercia oppure “made in”. Infatti, il questionario di autovalutazione (QAV) per l’AEO riporta il seguente quesito (domanda 2.1) per cui: “ a) Sono state individuate violazioni delle norme doganali nella sua azienda o da parte delle autorità doganali negli ultimi tre anni? Nel caso di una nuova impresa, indicare N/A, non applicabile. Se sì, descrivere brevemente le violazioni.  b) In che modo sono state segnalate le violazioni alle autorità governative competenti e quali misure di garanzia della qualità sono state introdotte per evitare il ripetersi di tali violazioni in futuro?  Prendete nota di tali misure di garanzia della qualità?..” ; in questo modo, individua la centralità dell’osservanza della normativa doganale la quale, secondo gli orientamenti AEO del 2016, si sostanza nel non compiere le seguenti condotte indicate a titolo meramente esemplificativo: “…- contrabbando; – frode, ad esempio una classificazione non corretta effettuata deliberatamente, una sottofatturazione o sovrafatturazione o una dichiarazione di origine falsa effettuate allo scopo di evitare il pagamento di dazi doganali; – infrazioni correlate ai diritti di proprietà intellettuale (DPI); – frode concernente un regolamento antidumping; – infrazioni relative a divieti o restrizioni; – contraffazioni; – qualsiasi altro reato inerente agli obblighi doganali;…”.

Tra le condotte evidenziate si inserisce la sanzione prevista dall’articolo 517 del codice penale in materia di falsa attestazione dell’origine non preferenziale (made in) per cui “…Chiunque pone in vendita o mette altrimenti in circolazione opere dell´ingegno o prodotti industriali, con nomi, marchi o segni distintivi nazionali o esteri, atti a indurre in inganno il compratore sull´origine, provenienza o qualità dell´opera o del prodotto, è punito, se il fatto non è preveduto come reato da altra disposizione di legge, con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a ventimila euro…”.

Mentre la fallace indicazione dell’origine secondo i commi 49 e 49 bis dell’articolo 4 della legge del 24 dicembre 2003, n. 350 (“Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004”), è costituita dall’ipotesi per cui “… L’importazione e l’esportazione a fini  di  commercializzazione ovvero la commercializzazione o la commissione  di  atti  diretti  in modo non equivoco alla commercializzazione di prodotti recanti  false o fallaci indicazioni di provenienza o di origine  costituisce  reato ed  e’  punita  ai  sensi  dell’articolo  517  del   codice   penale…” e “…Costituisce fallace  indicazione  l’uso  del  marchio,  da parte del titolare o del licenziatario, con modalità  tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia  di  origine italiana ai sensi della normativa europea sull’origine, senza che gli stessi  siano  accompagnati  da  indicazioni  precise   ed   evidenti sull’origine o provenienza estera o comunque sufficienti  ad  evitare qualsiasi fraintendimento del consumatore sull’effettiva origine  del prodotto, ovvero senza essere accompagnati da attestazione,  resa  da parte  del  titolare  o  del  licenziatario  del  marchio,  circa  le informazioni  che,  a  sua   cura,   verranno   rese   in   fase   di commercializzazione sulla effettiva origine estera del prodotto…”

 

 

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